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Viaggio nei lavori-vocazione per la Giornata del malato 2019: il fisioterapista 

A colloquio con Mario Pastore, fisioterapista.

di Antonio Tarallo

E, sempre per il nostro reportage sul mondo dei “lavori-vocazione” che alleviano le sofferenze dei malati, abbiamo “sentito” un'altra “tipologia” di professione che, giornalmente, viene a “scontrarsi” con il dolore, la “sofferenza”. Stiamo parlando di una figura abbastanza recente, rispetto a quella del “medico”. E’ quella del fisioterapista.


Anche se le tracce di tale figura, in fondo, è possibile ritrovarle fin dai tempi antichi (addirittura personaggi storici come Ippocrate e, successivamente Galeno, possono essere definiti i primi “praticanti” di Fisioterapia), è nel ‘900 che questa professione trova maggiormente spazio nella medicina ufficiale. Lavoro delicato, vocazione importante per il “sollievo”, o meglio “benessere” – parola chiave – per molteplici persone che si trovano a “combattere” diverse “tipologie” di problemi di salute.

La fisioterapia può intervenire, infatti, in molteplici campi d'azione in cui si incontrano patologie osteo-neuromuscolari: ortopedia, neurologia, reumatologia, geriatria, cardiologia, pneumologia, pediatria, stomatognatica urologia e ginecologia.

Mario Pastore, da diversi anni, si trova a contatto con il “malato
. Ha maturato, nella sua carriera medica, esperienze in paesi come il Brasile, Guatemala e l’India. Viaggi di studio, ma soprattutto di ricerca umana. Sempre alla scoperta di approfondimenti della sua professione. Un cammino “vocazionale”, pronto a nuovi orizzonti medici, nuovi approcci fisioterapici, nuove strade percorribili per raggiungere sempre meglio, il risultato più importante: creare benessere al paziente. A lui, qualche domanda, in questa “Giornata del malato 2019”.

Il malato, prima di tutto, Dottor Mario Pastore. Lei lo ascolta, ascolta i suoi problemi, e poi arriva il momento dell’ “ascolto” del corpo, e della sua cura. Certamente non è cosa sempre facile. Cosa prova l’Uomo Mario, nel momento in cui riesce a “sconfiggere”, nei casi positivi, il “male”?

Una sensazione bellissima. È la soddisfazione di poter essere complice del tornare alla propria vita del paziente. Ad ogni prima seduta io faccio una domanda: qual è il tuo obiettivo? Far tornare i miei pazienti a far ciò che più desiderano con la mia arte è un qualcosa di indescrivibile.

Il sofferente, l’immagine del sofferente. Nella memoria collettiva, tutti abbiamo davanti la figura – piegata dalla sofferenza – di Giovanni Paolo II. Nell’ultimo periodo del suo pontificato ci ha dato prova di come affrontare la malattia…due parole su questo…

Nel mio lavoro incontro molte persone con vari tipi di sofferenza fisica (dalla contrattura alla cachessia da tumore), anche quello che mi colpisce di più rimane quello del vissuto interiore, come si affronta la situazione. La scorsa settimana ho avuto la grazia di iniziare le terapie ad una paziente con un tumore che viveva con un "assurda" serenità e gioia la sua situazione. Lei giustamente citava Giovanni Paolo II, io le cito questa signora di San Basilio: non c' è bisogno di essere papi per sperimentare che lo spirito di Cristo bussa al cuore di ogni uomo per incontrarlo, amarlo e dar la forza di vivere quella sofferenza. Capisco che non è facile, spesso io ho difficoltà anche per cose molto minori. Personalmente per me il Paziente è un’occasione per amare e ridare al Cristo che è in lui la parte di tutto ciò che Lui mi ha donato nella mia malattia ed ogni giorno. Solo gratitudine.

C’è un problema oggettivo nel nostro Oggi.Le cure hanno bisogno a volte di tanto denaro. E molte, sono le persone che non riescono a potersi curare. Quali possibili vie, allora, per cercare un nuovo modo di affrontare questo problema?

E' triste parlare di questa assurda realtà: esiste realmente una fascia di popolazione che non riesce ad assicurarsi i servizi minimi livello sanitario. Fortunatamente qualche germoglio di speranza sta fiorendo anche qui in Italia. Oltre al fondamentale strumento della prevenzione, stanno sbocciando piccoli centri di "riabilitazione comunitaria" come, citandone solo alcuni quello di Bagnoreggio e di Forli col dott. Pestelli, che hanno l’obiettivo di assicurare la dignità del servizio di "cura" dove non arriva il SSN. Ad oggi faccio parte di un piccolo nucleo di terapisti di Roma, con i quali stiamo progettando come portare questo servizio nelle zone periferia romana) ed ambienti (per esempio, carceri, anziani) dove il servizio sanitario non arriva. Voglio precisare che agendo con fasce di popolazione "povere" e dove non sono presenti servizi, il nostro volontariato non è concorrenziali con il servizio offerto dai colleghi.

Dove può arrivare la medicina per aiutare chi soffre, chi è malato, chi affronta situazioni difficili di salute?

Parlo da professionista della riabilitazione: un grande passo sarà centrare il nostro brainstorming maggiormente sull'istruzione del paziente di come poter prevenire la disfunzione fisica. Quindi incitare al prendersi cura di se per mantenere un equilibrio psico-fisico attraverso una corretta ergonomia ed alimentazione, una sufficiente idratazione e riposo, tecniche di mindfulness e meditazione. Il mio motto è "meno state in studio, più potete parlare bene di me", assolutamente contrario alle terapie infinite se non adeguatamente giustificate. 


Antonio Tarallo

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